Il terzo atto è solitamente il più difficile da recitare in teatro. Il pathos va crescendo e si prepara il pubblico alla grande entrata, alla svolta.
Anche Joaquìn Correa è arrivato al suo terzo atto in biancoceleste e le aspettative su di lui sono altissime, il Tucu punta alla "consacrazione", quella vera.
Un calciatore unico con due versioni di sé stesso e forse il bello è proprio nella sfuggente verità: non capiremo mai fino in fondo che calciatore sia davvero.
Perché se il Correa visto in parecchie partite  è stato decisivo, c’è anche il Correa "altalenante", buone giocate buttate alle ortiche.
Il classico "coito interruptus", o se preferite "Tucu interruptus".
Il potenziale esplosivo è sotto gli occhi di tutti, il talento -ce sta- e si palesa in decine di maniere.  Velocità ed estro nel corpo smilzo, guizzi argentini adatti al palcoscenico europeo.
Insomma, racchiude in lui tutte le basi che un "top player" dovrebbe avere.
– Oh, sembra Felipe Anderson!-.
– No, no, è Gioacchino!-
Correa arrivò alla Lazio per tamponare l’addio di Felipetto e proprio per questo, si cercó un giocatore con le stesse caratteristiche, o almeno somigliante.
Dribbling e assist scorrono nel sangue di entrambi, entrambi sono capaci di farci divertire giocando con la stessa facilità con cui Inzaghi urla "Sergio" 300 volte in una stessa partita. ( Il nome Sergej in italiano non corrisponde a Sergio).
Tanto simili eppure distanti.
Il problema di Anderson compariva regolarmente quando le cose si mettevano male, o forse troppo comode,  quando veniva chiesta una spinta in più anche a coloro ai quali la spinta non avrebbe dovuto essere chiesta mai.
Ed ecco Felipe ad intermittenza.
Il mondo laziale si era spaccato in due.
Così rimane ancora anni dopo la sua cessione. È stata un affare o una sconfitta?
Joaquin Correa, che in Serie A aveva fatto poco o niente,  è riuscito a demolire lo scetticismo intorno a lui con la tecnica simile al brasiliano, scatto "Testa Rossa" e, spesso, è stato un po’ come rivedere Pipe. 
Il talento argentino è forse il suo tratto distintivo, tocchetti e controlli rapidi,  piovuto dal cielo per chi, come Inzaghi, tende a giocare proprio sull’imprevedibilità dei suoi pedoni offensivi. 
Il buongiorno si vede dal mattino, scrisse anche chi non faceva colazione con la Sambuca, ma adesso Joaquin cosa potrà fare in Champions?
Abbiamo parlato di qualità indiscutibili, c’è però un discorso rimasto in sospeso: El Tucu deve diventare "concreto" sotto porta.
In tante occasioni abbiamo assistito alla più che fedele testimonianza del suo potenziale, ma queste due stagioni sono state anche un manifesto di occasioni "magnate".
– E che c***o Gioacchi’!-.
Non è più la riserva lussuosa che ricordiamo nei primi mesi dal suo arrivo, oggi Joaquin è tra i titolarissimi.
La sua posizione in campo è sempre un argomento interessante, seconda punta vicino a Immobile, ma il ragazzo conosce un po’ tutto il reparto offensivo, esterno d’attacco come al Siviglia, trequartista alle spalle delle 2 punte, centrocampista o attaccante.
In qualsiasi maniera, è la sua duttilità il marchio di fabbrica. 
Adesso siamo arrivati al terzo atto di un ottimo calciatore capace di giocate eccezionali.
La sua carriera è maturata al punto di chiedersi a che punto davvero sia arrivata.
A quello decisivo? Alla svolta?
 
L’importanza di Correa nella Lazio è evidente, la prossima stagione deve essere quella della supremazia tecnica perché,
a volte, è bastato solo un "Tucu de class".

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